giovedì 26 dicembre 2019

Domenica, 24 Agosto 2008

Dopo mezz'ora di freddure, a riprova del grande freddo che stavamo vivendo, la conversazione si scaldò, grazie al vino. Il Corvo di Salaparuta beccava impazzito frammenti di vite.
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Due. Tre sarà anche il numero perfetto, ma per certe cose due è meglio. In tre è difficile mettersi d'accordo. Tra i due litiganti il terzo gode, ma il suo è autoerotismo.
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Diciotto volte. Non sono uno scherzo. Una volta passi, due volte vuol dire essere recidivi. Tre volte è già un'abitudine. Quattro volte un abbonamento. Ma diciotto... diciotto volte che vedi la Madonna... non ti sembra più nemmeno straordinario. Bernadette vide la Madonna diciotto volte e la Signora alla sua prima apparizione non le disse: "Credo che oggi noi inauguriamo una bella amicizia", come fa Claude Rains a Bogart in Casablanca (scusate la citazione ma Casablanca l'ho visto diciotto volte, per l'appunto).
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Tornai in cucina per aggiungere un tiro di grappa al caffè. Mia nonna, spettrale nella sua fisicità, mi aveva prevenuto.
«Cazzo nonna, ciucci grappa di primo mattino?»
«Non ho digerito» si giustificò l'ava in camicia da notte.
Inutile negarlo: avevo preso da lei.
«Come va con la Madona?» mi chiese filtrando la Nardini con aria mondana.
«Siamo in crisi».
Mia nonna avrebbe voluto rendersi utile ma era conscia, da quasi novantenne qual era, che tutto l'aiuto possibile me l'aveva già dato trasmettendomi i geni di un'immortalità spavalda da contrapporsi a un paradiso irraggiungibile.
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«Devi pisciare?» s'informò.
«No, voglio accertarmi come mai in certi momenti mi sento un arido figlio di puttana.»
«Non preoccuparti, è il tempo. Anch'io mi sento svuotato. In giornate come questa ho la senzazione di avere le mutande zuppe di albume.»
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Del Bianco non mi ascoltava, stava combattendo con qualcosa di più aggressivo di me, lottava con lo scudo della propria dignità offesa contro le frecce avvelenate della sua consapevolezza di essere un duce di paese avanti con l'età. Troppo avanti per tirarsi indietro. Mi accorsi che uno dei vecchi, fingendo di aiutarlo, cercò di sfilargli il portafoglio.
«Non si fa» rimproverai il tipo. Finse di cascare dalle nuvole. Si sarebbe rotto il culo precipitando da quell'altezza.
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 È questo il problema. Le migliori intenzioni non reggono il tempo. Sono fatte di yogurt, bisognerebbe scriverci sopra la data di scadenza. Sono frutti orgogliosi che quando li addenti sono già marciti.
Lo spazio temporale che intercorre tra le migliori intenzioni e la loro applicazione è troppo breve perchè i risultati corrispondano alle aspettative.
Meglio allora le cattive intenzioni. Di solito vanno a buon fine. Nel senso che se è vero che «ognuno distrugge ciò che ama» non sempre gli riesce di distruggere ciò che odia.
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Sono andato al bar. È una cosa da evitare se non hai smaltito la bevuta del giorno prima. L'alcool in circolo ne reclama dell'altro per non sentirsi solo. Onde evitare la figura dell'ubriacone mi sono orientato su un'ordinazione ipocrita: caffè corretto. Il barista è sempre l'unico a sapere, oltre a te, quanta grappa ci ha messo.
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Domanda futile. La risposta comincia con «se...». E quando una risposta comincia così tanto vale, in alternativa, iscriversi a un corso di flamenco. Qualcosa di altrettanto inutile ma più ballabile.
Da "Il conto dell'ultima cena" di Andrea G. Pinketts, Ed. Mondadori

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