giovedì 26 dicembre 2019

Venerdì, 01 Agosto 2008

E poi i cani. Ce n'erano tanti a Lancimago, messi a guardia delle case e delle aie, compagni di caccia per gli adulti o di giochi per i bambini. Era normale che i galli cantassero, a quell'ora; non lo era, invece, che i cani fossero già tutti svegli, e agitati.
Mentre gli uomini dormivano, si muovevano senza pace in circoli sghembi e ossessivi, in un tentennare fobico di scatti e rinculi, come se non riconoscessero gli odori della notte a cui erano abituati da sempre. Legati nei cortili, accovacciati sui pavimenti delle rimesse o al riparo delle cucce, da ore uggiolavano terrorizzati rivolti ai fantasmi del buio e alla Luna, neanche questa fosse il volto di un nemico comparso a minacciarli dal cielo. Avevano i musi tesi, le code basse tra le zampe, gli occhi dilatati intenti a scandagliare una realtà che, anche se piano piano prendeva forma nella luce dell'alba, per loro doveva contenere qualcosa di alieno e di minaccioso.
E quando il primo spicchio di sole apparve all'orizzonte, iniziarono, tutti, a ululare e ad abbaiare.
Senza tregua.
Il coro di latrati sovrastò e poi zittí il canto dei galli, e per un po' fu l'unico rumore a scuotere la campagna. Poi le finestre si aprirono, e voci irate ordinarono ai cani di smetterla, di fare silenzio.
Ma solo per accorgersi che quelle grida di paura e di allarme erano tante, troppe per essere fermate.
Da "Quell'estate di sangue e di luna" di Eraldo Baldini e Alessandro Fabbri, Ed. Einaudi

Nessun commento:

Posta un commento