giovedì 26 dicembre 2019

Lunedì, 07 Maggio 2007

Sfoderai il mio bel pollice, sicuro che qualcuno come mio padre si sarebbe fermato, e invece fu una signora anziana con una massa di capelli inguainata in una cuffietta di plastica. Abbassò il finestrino e si mise a sbraitare come se ci conoscessimo da tutta la vita: «Cazzo, muovi quel culo e salta su!».
Indossava una divisa azzurra, l'indumento in dotazione alle cassiere di una catena di supermercati della zona. «Cos'hai, quattordici anni? Quindici? Io ho un nipote più o meno della tua età, e se mai lo beccassi a fare l'autostop gli darei tanti di quei calci in culo da farmi volare via la scarpa. Sei pazzo, a salire in macchina con degli sconosciuti? E se io avessi una pistola, o un coltello a serramanico? Non sapresti difenderti da un gatto domestico, e non dirmi di no perché quelli come te li conosco, mister furbacchione. Li conosco fin troppo bene. Cosa direbbe tua madre, se sapesse che fai queste cretinate? I tuoi dove sono?»
«I miei genitori?» Esitai un istante, rendendomi conto che non c'era una sola ragione al mondo per cui a quella donna dovessi dire la verità. Con tutta probabilità non mi avrebbe mai più rivisto in vita sua; e anche in caso contrario, non era detto che mi riconoscesse. Le dissi che mio padre stava partecipando a una conferenza di pace a Stoccolma, in Germania, e che mia madre, camionista, stava trasportando sulla West Coast un carico di... collant.
«Come no» rispose la donna spegnendo la sigaretta nel posacenere stracolmo «e io nel mio giardino allatto al seno cuccioli di cammello. Così, perché mi diverto. Vedi di dirmi dove abiti, Pinocchio, e le vaccate risparmiatele per qualcun altro.»
Si fermò davanti a casa mia proprio mentre mio padre usciva per venirmi a prendere. «Camionista un cazzo» disse lei. «Adesso tu entri nella tua bella casetta e ci resti, prima che qualcuno ti incida le sue iniziali nel cranio. Stavolta ti è andata bene, ma se ti ribecco col pollice fuori ti investo subito, così ti risparmio le sofferenze.»
Cominciai a fare l'autostop con regolarità.
...
Hobbs ebbe la stessa reazione. «Guarda chi c'è, Ringo. Tu ti chiami... Dennis, giusto?» Buttò la sigaretta accesa sull'erba e uscendo nella veranda mi disse: «Ti farei entrare, ma mia moglie è ancora lì che muore di cancro. È venuto anche a Clifford. Te lo ricordi, vero? Il ciccione che faceva da caposquadra. Adesso è su a Portland, con un tumore nel culo grosso come una pera Williams».
Dal momento che Clifford chiaramente non sarebbe tornato a breve, Hobbs si offrì di sistemarmi nel prefabbricato del caposquadra, che si trovava tra il fienile e la lunga fila di baracche di legno.
«Strana cosa, il cancro.» Si accese una sigaretta e rimase a fissare il fiammifero spento. Uno di quegli aerei che spruzzano i diserbanti ci passò sopra la testa, e Hobbs salutò il pilota con la mano. «Sissignore, un vero mistero.»
Da "Diario di un fumatore" di David Sedaris, Ed. Mondadori

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